Pagina:Poemetti italiani, vol. VI.djvu/96

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T’abbian tessute a gara, e qui cucite
Abbia ricco sartor che in su lo scudo
Mostri intrecciato a forbici eleganti
Il titol di Monsieur. Non sol dia leggi
A la materia la stagion diverse;
Ma sien qual si conviene al giorno e all’ora
Sempre vari il lavoro e la ricchezza.
   Fero Genio di Marte, a guardar posto
De la stirpe de’ Numi il caro fianco,
Tu al mio giovane Eroe la spada or cingi,
Lieve e corta non già, ma, qual richiede
La stagion bellicosa, al suol cadente,
E di triplice taglio armata e d’elsa
Immane. Quanto esser può mai sublime
L’annoda pure, onde l’impugni all’uopo
La furibonda destra in un momento:
Nè disdegnar con le sanguigne dita
Di ripulire et ordinar quel nodo
Onde l’elsa è superba; industre studio
È di candida mano; al mio Signore
Dianzi, donollo, e gliel appese al brando,
La pudica d’altrui Sposa a lui cara.
Tal del famoso Artú vide la corte
Le infiammate d’amor donzelle ardite
Ornar di piume e di purpuree fasce
I fatati guerrieri, onde piú ardenti
Gisser poi questi ad incontrar periglio