Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/106

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Ali, che il fulminante augel di Giove
Vincon nel volo, a lei coprono il tergo:
Nelle vermiglie gote e ne’ vivaci
Occhi focosi, che con spessi giri
Muovono rapidissimi, traspare
Il bel capriccio e la gentil follia,
Stringe la destra sua magica verga,
Al cui poter, quando la scote, oh quali
Portenti, oh quanto nuove e inaspettate
Sorgon sembianze! or fralle nude arene
Della Siberia, e le deserte cupi
D’eterno gel coperte, al di lei cenno
Spunta vago giardino, ove scotendo
Aura gentile le straniere penne,
D’insoliti colori il verde smalto
Dipinge, e intanto l’infeconda piaggia
Le nuove frondi verdeggiare ammira
E le poma non fue: or ti trasporta
Di Tenariffa sull’eccelsa cima,
E già sotto i tuoi piedi errar le nubi
Miri, i lampi strisciar, scoppiare il tuono;
Or d’Atene, or di Roma il popol folto
Ti vedi innanzi, e fulminar da’ rostri
Tullio, e a suo senno trar del mobil volgo
Il pieghevole cor, l’animo incerto.
     Stupido e muto alla grand’urna innanzi
Mi prostro, e adoro colla fronte bassa