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     Ahi! quante volte smaniosa torse
Verso di me la morte il guardo truce!
E quante volte, di mia vita in forse,
Più mirar non sperai la cara luce!
Pur fu pietoso il cielo e me soccorse;
Che altrove il morbo il suo furor riduce,
Nuovo vigor ricolorisce l’egra
Mia faccia spenta e i cari miei rallegra.

     Ma poichè ancor con iterata guerra
Rinnovava sovente i miei languori,
Timor, che con man fredda il cor mi afferra,
Mai non permette appien ch’io mi ristori;
Nè perch’io ricercassi in altra terra,
Per le Tessale sponde, aure migliori,
Giammai mi lascia nè giammai vien mene
L’irrequieto duol che covo in seno.

     Scorro i bei lidi e giungo alfin, non anco
Sgombro nell’alma dal sospetto reo,
Ove, a Larissa inumidito il fianco,
Presso al Termaico Mar cade il Penèo:
Con un cupo muggir; spumoso e bianco
Bolle non lungi il minaccioso Egèo,
E l’Ossa porta colle fredde spalle
Ombra di Tempe alla romita valle.