Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/20

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     Da cagion sì gagliarda, e sì possente
90Spinta la gioventù degna, e reale,
Non guardava nè a dote, nè a parente,
Che a sua condizion non fosse eguale:
Ma per dar loco alla sua fiamma ardente,
Celebrava imeneo santo, e leale:
95Tanto, ch’in breve, Amor scacciò dal mondo
L’ambizion, e l’avarizia al fondo.

     Quell’altier, che i suoi dì tutti avea spesi
In mercar dignità, gradi, ed onori;
E per gara di ciò molti avea offesi,
100Nè pur mirar degnava i suoi maggiori;
Trafitto a mezzo il cor da’ strali accesi
Di questo Re, per mitigar gli ardori
Una vil donna, ancor che bella prende
Per consorte legittima, e si rende.

     105Quell’altro avaro ingordo di tesoro,
Tutta la vita sua strazia, e patisce,
Non veste mai; non si dà alcun ristoro,
A pena di scacciar la fame ardisce;
Poi tocco dallo stral di costui d’oro,
110Le sue ricchezze in pochi dì finisce,
O contradote, o spesa altra, che importa,
Per goder la sua Dea di far comporta.