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Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/238

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Chi di zona la cinge sì lucente?
Chi l’oro sfuma, e ’l crocco acanto sparge,
E lo zafiro spruzza, ed il ciano,
E l’infiòra di mammole, e l’ingemma
Di smeraldi, e l’estremo lembo arrossa
Di vaga rosa? Le pendenti gocce
Liquide sfere son di sciolta nube,
Dove i lucidi strali obbliquo-entranti
E da doppia spezzati refrazione
Fanno apparir entro a nembosa pioggia
L’arco celeste di color sì vario?
Palpiti solo, e per timore ammuti
L’indotto vulgo, cui l’oscuro annera
De’ pregiudizi ammanto, se per l’aria
Rimira fiammeggiar ardente lampa,
Volare il drago, saltellar la capra,
O, donde acuto il livido rovaio
Freme, di luce rosseggiar, che brilla
Perenne sul zodiaco sentiero.
     Ma di quai pregi assai non è più ricca
Quella, che dentro folgoreggia e aggira
Allo tuo spirto illuminante luce?
Essa l’eterno avviva immenso giorno
Di deifica vita, essa agli eletti
Spirti celesti encomiator perenni
Dell’infinita maestà di Dio
Le voci detta, ond’alto eccheggian sempre