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     Come se avvien talor che una gran frotta
Di sorci infra gl’orror d’ombra notturna
O l’arsenico, ovver la rabbia inghiotta,
Che la fantesca pose in piato, o in urna,
Nel tornare che fanno alla lor grotta
Fiammeggiando già in ciel l’ora diurna,
Chi cade qua, chi là, chi su, chi giù
Attossicato con la pancia in su.

     In guisa tal soldati, e passeggeri
Per la nave giacean di color privi:
Se non che al rutto, e al ventilar leggeri
Davano indizio, che erano pur vivi.
Discorre il Capitan per li quartieri,
Dalle ciglia versando umidi rivi.
Seco non ave medicina, e vede,
Che prende il morbo rio sempre più piede.

     Dopo lungo penare immantinente
La prua rivolge a la vicina terra;
L’ancora curva con l’adunco dente
Morde l’arena, e il cheto lido afferra,
Quivi un’Isola d’erbe e fior ridente
Posta tra la Zelanda, e l’Inghilterra,
Lentamente sorgea facile, e piana
Dagli antichi scrittor detta Bottana.