Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/46

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Dà moto a’ cieli, e ’l basso mondo regge.
Lui pongo al fianco sull’augusto trono
I gran fulmini, e’l tuono,
Onde a’ superbi figli della terra
Le fronti umilia, e le percosse, ed arse
Caggion cittadi, e i regni ampi, e famosi
Van col gran busto a terra.
Quinci son tratto, ove si stanno ascosi
I fati eternì, e le venture molte
In lungo ordine accolte
Leggo de’ semidei, e d’alti auguri
Fonne tesoro a i secoli futuri.
     Di là riede a legarsi
Alle giovani sue spoglie mortali
Lo spirto mio, che lungo tempo starsi
Non può tra le venture alte, e immortali.
Allor più non ragiono in bassi accenti
Alle Italiche genti.
Chiaro suggetto de’ sonori carmi
Le magnanime sono alme famose,
E le feroci generose belve,
Vengono ad ascoltarmi
Fuori degli antri, e delle cupe selve.
Così contr’al poter di morte, cose
Canto alla plebe ascose,
E albergo le virtù meco, e con loro
Mi siedo all’ombra dell’augusto alloro.