Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/66

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Che impavido consiglia, e solo basta
All’impensato variar de’ tempi
O l’alma pace sui fecondi solchi
S’incoroni di spiche, o de’ superbi
Sul mal accorto ardir tuoni Bellona.
Parlar dovea col ridonato a’ grandi
Fati dell’Austria novel Tullio, a cui
Tutte eloquenza le sue fonti aperse,
Perchè il pubblico ben, perchè la scritta
Per man di Temi in adamante eterno
Delle genti ragion parlar l’udisse,
Qual pien di fede, e pien di mente nova
Non altro udiro ancor popoli, e Regi.
Piacque a genio sì prode, e feo tra loro
Fede, e concordia su i confin prescritti,
E sulle antiche mete in mutui amplessi
Scendere amiche, e riunir le destre.
Vedilo alfin de’ bei sudori il frutto.
Cogliere in sen di lei, che sul mar stende
Il forte braccio del suo giusto impero,
Ed ormai vince, e col suo nome oscura
Le prische Emule sue, Roma, ed Atene.
Per la grata sua man verso i suoi figli
Larga di guiderdone, eccol’ nell’ostro
Patrizio folgorar. Miragli incontro
Venir la gioia universale; e palma
Battendo a palma il pubblico favore