Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/74

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Quelle colombe lor Plinio e Furienti.
Ma il ragionar che val, dove petrai
Meco e con Silvio in un albergo accolte
Le glorie nostre, e il santo stuol de’ Numi
Dappresso rimirar? Entra pur dunque,
E pria d’entrar, mira colà in disparte
La Botanica industre il grembo piena
Di germi oltramarini e di semente,
Ch’ella trasceglie, e in ripartiti vasi
Mollemente dispone, onde poi frutte
In qualunque stagion spuntino, e fiori
D’indole tale e di sapor, che Roma,
Roma che tutto fa, chiedane il nome.
Vedi più presso affaccendata intorno
A quel fonte l’Idraulica, al cui piede
E stantuffi, e chiavette, e tubi, e cento
Giacciono ordigni, ond’ella faccia a l’acqua
Prender vie non usate, e salir dove,
Stupendo Belidor non che Jerone,
Per natura o per arte unqua non salse.
Or ve’ dentro a la foglia incontro uscirne
La sorella di iei, quella che altrove
Polverosa tra macchine e tra leve de
Vedesti ognor, qui più leggiadra e monda
La Meccanica vedi; e vedi come
Gentil t’invita a l’apprestata mensa,
Da cui vengono e van cibi e bevande