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     Chi mai d’Atride alla già fida sposa
Ti trasse iniquo ed aborrito Egisto?
Niun più di lui vantò guancia vezzosa,
O più dolce sorridere fu visto;
Brillava ne’ suoi sguardi aura amorosa
Non foriera del cor torbido e tristo;
Sol con quest’armi, e lo permise Amore!
Involar seppe a Clitennestra il core.

     Dell’adultero fuoco, e del sospetto
Di perderlo, bollente ella e sdegnata,
Con qual fronte potè stringere al petto
Lo sposo, orribilmente innamorata?
Pur lo potè, che il timoroso affetto
Prestava a’ suoi sospiri aura infiammata,
E larga agli occhi di mentito pianto
A più gran colpa s’avvezzava intanto.

     Il Re stupì, che di Tieste il figlio
Vide alla reggia del figliuol d’Atreo,
Nè in cor la guancia o il bel girar del ciglio
L’ira paterna trattener potèo;
Ma in quel volto mirar bianco e vermiglio
Di Tieste le furie ei si credèo,
Quando alla mensa dell’incesto in pena
Vide imbandirsi la nefanda cena.