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102 ESIODO 289-320

E chi pei gran vigneti, dei vendemmiatori, alle ceste
290grappoli bianchi e neri portava, di pampani gravi
tutti, e d’argentei viticci, chi colmi portava i canestri.
Ed una vigna d’oro quivi era, d’Efèsto lo scaltro
opera egregia; e scoteva le foglie sui pali d’argento,
carica tutta quanta di grappoli; e i grappoli, neri.
295E chi pigiava, e chi beveva. — Coi pugni, alla lotta,
si misuravano altri. — Correvano dietro alla lepre i
cacciatori, e cani dai denti crudeli dinanzi:
questi ghermirle, quelle fuggire anelavano. — E presso
avean cavalïeri contesa fatica e travaglio
300per una gara: stavan sui solidi carri, gli aurighi,
lente lasciando le briglie, sferzando i veloci cavalli;
e con gran romba i carri massicci volavano, i mozzi
stridevano alto; e mai non cessava la loro fatica:
ché la vittoria a nessuno rideva, era incerta la gara.
305E nella lizza era esposto il premio d’un tripode grande.
opra d’Efesto, l’artefice scaltro, foggiato nell’oro. —
Correva presso all’orlo l’Ocèano, pareva rigonfio,
e tutto quanto cingeva lo scudo scolpito. E su quello,
cigni per l’aria, con alto clamore volavano, a sommo
altri nuotavan dell’acque, d’intorno scherzavano pesci.
310Era una meraviglia vederlo, sia pure per Giove
sire del tuono, pel cui comando lo scudo massiccio
grande, manevole, Efèsto costrusse. Il figliuolo di Giove
lo palleggiava con mano gagliarda.
                                                                           Balzò sopra il carro,
315che folgore sembrò lanciata dal padre tonante,
con salto agile; e accanto l’auriga gagliardo Iolào
a lui balzò, reggendo le briglie del carro ricurvo.
E venne presso a loro a Diva occhicerula Atena,
infuse in essi fede, con queste veloci parole:
320«O di Lincèo, l’eroe glorïoso progenie, salute.