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PREFAZIONE xxvii

Súbito Ate afferrò per la testa dai riccioli molli,
e, tutto pien di sdegno, prestò giuramento solenne
che su l’Olimpo mai piú, mai piú fra le stelle del cielo
Ate non tornerebbe, che accieca di tutti le menti.
E, pur giurando, rotò la mano, e dal cielo stellato
via la scagliò: ben presto degli uomini ai campi fu giunta.

Ed ecco, infine, Stige, la potentissima, che dimora nell’Averno, e dunque appartiene anch’essa alla schiera dei Numi piú antichi e debellati; ma che, tuttavia, nella sua cattività serba un tal potere, che i Numi trionfatori quasi temono di pronunciare il suo nome, sacro ai giuramenti (XIV, 271).

E analogo potere serbano tutti i Numi sotterranei, gli antichi Numi debellati e relegati in un paese di tenebre eterne (XIV).

Cosí diceva; ed Era, la Dea dalle candide braccia,
fece com’egli disse, giurò, tutti i Numi invocando,
ch’hanno dimora nel Tartaro fondo.

Per concludere, dal fatto che Omero pone in prima linea e consacra tutte le virtú del suo pennello ai Numi Olimpii, e degna appena d’un fuggevole sguardo i minori, non bisogna arguire che questi fossero sulla via di andare scancellati dalla mente e dai cuori. Essi avevano anzi una grande importanza, che risulta dalla venerazione, sia pure inquartata d’avversione e d’odio, che provano di fronte a loro gli Olimpii. E, d’altronde, li troviamo poi sempre vivi ed efficienti in tutto lo svolgimento della vita greca, e massime presso il popolino. Essi, i debellati, i soverchiati, rimangono i veri Numi dei proletarii, che li sentono piú vicini a sé, e ripongono piú fiducia in essi che nei brillantissimi Olimpii, i quali, in fondo, al pari dei re della terra, non si occupavano tanto della loro