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lviii ESIODO

E questo paese è descritto su per giú coi medesimi colori che servirono ad Omero pel popolo dei Cimmerii (Odissea, XI, 14 sg.).

     Qui sorge la città, il popolo è qui dei Cimmèri,
che vivon sempre avvolti di nebbie, di nubi; e coi raggi
mai non li mira il sole fulgente che illumina il mondo,
né quando il volo al cielo cosparso di stelle dirige,
né quando poi dal cielo si volge di nuovo alla terra;
ma ruinosa notte si stende sui tristi mortali.

E non facciano meraviglia queste smisurate esagerazioni. Cosí, attraverso alle relazioni dei viaggiatori le genti del luminoso Mezzogiorno concepivano i paesi del Nord. Ed anche in tempi pienamente storici persiste lo stesso atteggiamento iperbolico. Ampère ricorda un tal Candidiano di Cesena, che ai tempi di Sidonio Apollinare felicitava un bevitor d’acqua della Saône perché venendo in Italia «avrebbe visto qualche volta il sole». — «Questi oltramontani — conclude, un po’ melanconico, l’Ampère — han sempre considerate le nostre belle terre come l’antro tenebroso dei Cimmerii»1.

Questi Titani, dunque, dopo la sconfitta, sono relegati ad Occidente, e in paesi dove il sole non brilla: a Nord Ovest, traduciamo in linguaggio geografico. E in linguaggio storico diremo che dopo le sconfitte tornavano alle terre da cui erano partiti. Il paese della loro relegazione è il paese della loro origine.

Ed apriamo ora Callimaco, e leggiamo, nell’inno a Delo, il brano, in cui, parlando dell’invasione dei Galli in Grecia del 277, dice: «Quando dall’estremo Occidente gli epigoni

  1. Ampère, op. cit., p. 122.