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lxxiv ESIODO

è quasi sempre il surrogato d’un’opera che soverchia le nostre possibilità, ardentemente vagheggiata, e non potuta compiere. Musa ispiratrice del poeta fu dunque, come per Archiloco, l’odio. L’odio non meno efficace dell’amore. Ma Esiodo non lo confessa, come farà Archiloco: anzi si professa magnanimo e ardente sostenitore della giustizia.

E a magnificar la giustizia, ecco una quantità inattesa di atteggiamenti originali, inconsueti, sottili, icastici, grandiosi, che possentemente afferrano lo spirito del lettore. Ecco la favoletta dell’usignuolo e dello sparviere, la prima che troviamo nel mondo greco, e che esprime con tanta evidenza una eterna dolorosa verità. E la macabra fantasia dei trentamila Dèmoni che vanno errando sopra la terra a difesa della Giustizia. E la sentenza, espressa con arguzia che fa pensare a Senofane, che Giove decretò che le fiere si sbranassero le une con le altre, ma che gli uomini si servissero delle leggi. E l’ipotiposi, già ricordata, di Giustizia che fugge lontano dai luoghi dove l’hanno oltraggiata. E la lunga pittura del regno dell’ingiustizia, sotto la quinta generazione: possente acquaforte, nella quale sembra passare un soffio dei profeti biblici. E le magnanime e pericolose apostrofi rivolte agl’ingiusti principi, perché onorino anche essi la divina figlia di Giove (248-260-263).

Insomma, la materia gnomica, che in altre parti de Le opere e i giorni, e poi in tutti, si può dire, gli epigoni, si stende lenta, grigia, uniforme come la nebbia, qui, percossa dal raggio della ispirazione, si compone in belle parvenze, di linea definita, ricche di luce e di colore, in una mirabile visione. Questa è poesia.