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lxxxii ESIODO

soprastruttura mitologica. Dentro la corteccia dell’albero, fra le luminose èlitre dell’insetto, nel verzicare d una pianta, egli non sente la presenza d’un demonisco o d’una Ninfa, bensí il fermento della linfa, una vibrazione di molecole, l’influsso d’una temperie celeste.

E a questo medesimo amore, a questo medesimo sentimento della realtà sono ispirate anche tutte le altre parti migliori del poemetto. La fulgida vita achea, il cui ricordo, la cui immagine erano ancor vivi nei poemi d’Omero, che Esiodo ben conosceva, non ha per lui il menomo fascino. Egli bada solo alla vita che lo circonda. Ed era vita grama, da non tollerare verun confronto con la trascorsa vita eroica: eppure, anche di questa sembrano attrarlo di piú le parti piú umili, paesane, oppure, come ora si direbbe, borghesi. Le beghe dinanzi ai dodici non incorruttibili giudici di Tespia, le lunghe sedute, fra i geli, nelle tepide fucine dei fabbri, i minuti lavori eseguiti entro i tugurii campestri nelle brevi piovose giornate e nelle interminabili notti d’inverno, il ridestarsi all’alba e l’affrettarsi di tutta la povera gente al lavoro.

E quando la fantasia spicca il volo verso immagini piú luminose e gioconde, saranno la pittura d’uno scialo estivo, entro una fresca caverna, pane fresco, carne di agnello e di manza, vinetto di Biblo. O, se no, la giovinetta che nel cuor dell’inverno se ne sta riparata dal freddo nel suo talamo tepido e fragrante, custodita dalla tenerezza materna.

A chi tien gli occhi sempre fissi al vero, ben poco sfugge del lato comico che accompagna la maggior parte delle azioni umane. E una vena di comicità serpeggia in tutta la poesia di Esiodo. Nei racconti: in quello, per esempio, della beffa di Prometeo a Giove, o nell’altro della seconda età degli uomini, quando i figli rimanevano citrulli sino a cent’anni accanto alle gonnelle della mamma. E in pitture appena accennate, per esempio del contadino che non ha seminato a suo