Pagina:Poemi conviviali (1905).djvu/121

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il giorno 101

poi che l’irosa voce era già rauca;
quando lo schiavo nel buon punto accorse,

deposto in terra il tripode di bronzo;
e tenne l’uno e sgridò l'altro, e disse:
«Pace! È la pace che ralleva i bimbi.
Sono i pesci dell’acque, e son le fiere
dei boschi, e sono gli avvoltoi dell’aria,
ch’hanno per legge di mangiar l'un l’altro.
Gli uomini, no, ché la lor legge è il bene.»

     E quelli ognun tornava all’intermessa
opera, in pace. E i bovi sotto il giogo
rivedeano il lor uomo con un muglio,
compiendo il solco al suon della sua voce
ch'era arrochita: e le ricurve zappe
sfacean le zolle seppellendo il seme.
E lo schiavo riprese sopra il dorso
l'aspro di segni tripode di bronzo,
e riprendendo la sua via diceva
ad un rubesto giovane: «Lavora,
o gran fanciullo, se la terra e il cielo
t'amino, amando essi chi lor somiglia!
Chè la nube carreggia, con un cupo
brontolìo, l'acqua; e da lontano, ansando,
il vento viene; e infaticato il sole
torna ogni giorno. Ma la terra è tarda,
madre che fece tanti figli, e tutti
li ebbe alla poppa. O dàlle ora una mano!»

     E lo schiavo stradò col suo cantore
a paro a paro. E già scendea la sera,
e velava una dolce ombra le strade.
Nè più borghi muffiti erano intorno,