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il poeta degli iloti 105

E il masso a volte si spezzò nell’astro.
E sfavillante un polverìo si sparse
nel nero spazio, come la corolla
d’un fior di luce, che per un momento
illuminò gli attoniti giganti,
e il mare immenso che ondeggiava al buio,
e in terra e in aria rettili deformi,
nottole enormi; e qualche viso irsuto
di scimmia intento ad esplorar da un antro.

      E poi fu pace. Ed ecco uscì dall’antro
il bruto simo, e nella gran maceria,
dove sono i rottami anche del Cielo,
frugò raspò scavò, come fa il cane
senza padrone, ove si spense un rogo.
E fruga ancora e raspa ancora e scava
ancora. Ma dal Cielo ora alla Terra
sorride il sole e piange pia la nube.
È pace. Pur la Terra anco ricorda
l’antica lotta, e gitta fuoco, e trema.
E al Cielo torna l’ira antica, e scaglia
folgori a lei con subito rimbombo.
È pace sì, ma l’infelice Terra
è sol felice, quando ignara dorme;
e il Cielo azzurro sopra lei si stende
con le sue luci, e vuol destarla e svuole,
e l’accarezza col guizzar di qualche
stella cadente, che però non cade.

     Come ora. E sol com’ora anco è felice
l’uomo infelice; s’egli dorme, o guarda:
quando guarda e non vede altro che stelle,
quando ascolta e non ode altro che un canto».