Pagina:Poemi conviviali (1905).djvu/185

Da Wikisource.

efimeri 165

immobilmente. E molte vite in fila
salìan dal mare riscendean nel mare:
quindi l’eterno. E dall’eterno altre onde:
i figli. Altre onde dall’eterno: i figli
dei figli. E onde e onde, e onde e onde...


III


efimeri



     Disse Panthide: «Ospite, ho cinque figli
molto lodati, come sai: Zelòto
il primo: Argeo, buono alla lotta, eppure
fiorito appena di peluria il labbro,
l’ultimo: è questi ora su l’Istmo, ai giochi.
Lachon, ascolta. Ieri udii, su l’alba,
un grido in casa, un fievole vagito
che mi chiamava al talamo del figlio
più grande. Andai. Vidi una luce: un uomo
novo fiammante! E con le sue manine
egli annaspava come a dire — O vedi
ch’io l’ho pur qui la lampada di vita
accesa a quella ch’alla tua s’accese!
Più non è danno se la tua si spenge:
Son io Panthide. Puoi partire, o nonno! —
Parlato ch’ebbe, egli movea le labbra
come assetato... E io dovrei tutt’ora
tener le labbra al pispino del fonte,
vietando io vecchio al mio novello il bere?