Pagina:Poesie (Monti).djvu/191

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CANTO QUINTO 175

     Schianta, uccide le mèssi e le travolve,
     Poi con rapido vortice le vora1;
E tratte in alto le diffonde e solve
     Con immenso sparpaglio. Il crin si straccia
     135Il pallido villan, che tra la polve
Scorge rasa de’ campi già la faccia,
     E per l’aria dispersa la fatica
     Onde ai figli la vita e a sè procaccia,
E percosso l’ovil, svelta l’aprica2
     140Vite appiè del marito olmo, che geme
     Con tronche braccia su la tolta amica.
Oh giorno di dolor! giorno d’estreme
     Lagrime! E crudo chi cader le vede
     E non le asciuga, ma piú rio le spreme!
145E chi le spreme? Chi in eccelso siede
     Correttor delle cose, e con òr lordo
     Di sangue e pianto al suo poter3 provvede.
Poi che al duol di sua gente ogni cor sordo
     Vide il cantore della gran follía4
     150E di pietà sprezzato ogni ricordo,
Mise un grido e spari. Mentre fuggía,
     Si percotea l’irata ombra la testa
     Col chiuso pugno e mormorar s’udía.
Già il sol cadendo raccogliea la mesta
     155Luce dal campo della strage orrenda;
     Ed io, com’uom che pavido si desta
Né sa ben per timor qual via si prenda5,
     Smarrito errava, e alla città6 giungea
     Che spinge obliqua al ciel la Garisenda7.
160Cercai la sua grandezza; e non vedea
     Che mestizia e squallor, tanto che appena
     Il memore pensier la conoscea.
Ne cercai l’ardimento; e nella piena

133. E tutte in alto (O.).

    grande strepito.

  1. 132. vora: divora, porta con sé. Verso onomatopeico.
  2. 139. percosso: ucciso. Petrarca Trionf. d. Fam. I, 61: «Poi quel Torquato che ’l figliuol percusse». — aprica: esposta al sole.
  3. 147. al suo poter: alla sua potenza e fortuna.
  4. 149. della gran follia: della pazzia d’Orlando.
  5. 156. com’uom ecc. Dante Purg. ii, 132: «Com’uom che va, né sa dove riesca». Potrarca P. I, son. 14: «Vommene in guisa d’orbo sonza luce, Che non sa ’ve si vada, e pur si parte».
  6. 158. alla città ecc.: a Bologna.
  7. 159. Garisenda: la torre pendente Garisenda fu fondata probabilmente nel 1110 da Filippo e Oddo Garisendi, e forse in antico era assai piú alta che ora, poiché, per testimonianza di Benvenuto da Imola, fu di molto mozzata dall’Oleggio. Ora è di metri 47,51 d’altezza. Cfr. G. Gozzadini: Le torri gentilizie di Bologna ecc.: Bologna,