Pagina:Poesie di Giovanni Berchet.djvu/6

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ponevasi la nostra conversazione (perdita questa delle più amare che m’abbia costato l’esiglio), la lettera mi salva d’ogni mal sussiego d’autore; mi permette di parlare in persona prima, di usarlo quell’io che l’etichetta, il perchè nol so, condanna come più vanitoso del noi; mi previa, luogo a dire quel poco che pur si vuole ch’io dica; e, quello che val meglio per me, mi procaccia il gusto di chiamarvi ancora i miei cari. Forse anche a voi non dispiacerà di ricevere impunemente per questa via un solenne saluto dell’amico vostro lontano, da colui del quale sarebbe delitto per voi l’avere contezza altrimenti; frutto anche questo delle vostre belle polizie, che vi strozzano in petto perfino le affezioni private.

Per poco ch’io ve l’asserisca, lo crederete ben subito, o dilettissimi, che nel comporre i versi che oggi vi dedico, voi, voi soli, io sempre aveva dinanzi alla mente, come lettori a cui soddisfare s’io lo potessi. Ora che li ho ricopiati, li rileggo pensando a voi; nè parmi che per voi abbiano bisogno di schiarimenti. Se mi tocca di pubblicarli in terra straniera, non è per questo ch’io mi figuri che stranieri li vogliano leggere. Ove a ciò avessi rivolto la speranza, certo è che avrei fatto bene di sparpagliare qua e là alcune note ad esporre quel tanto di storia lombarda a cui alludono i versi; dacchè non è da pretendere che, fuori d’Italia, s’abbiano comunemente su per la punta dei diti i fatti nostri di tempo remoto. Ma io non ho in mira che l’Italia. Ed in Italia, cari miei, come volete ch’io pensi che col tanto boriare che vi si fa d’onore nazionale, s’ignori poi l’epoca più bella, più gloriosa della storia italiana, la confederazione dei Lombardi in Pontida, la battaglia di Legnano, la pace di Costanza? Questi fatti il dichiararli io a voi, più che superfluo, sarebbe ridicolo. E uno scortese complimento parrebbe anche, se mi mettessi a spiegarli a que’ pochi che senza onorarmi d’amicizia perso-