Pagina:Poesie inedite di Silvio Pellico II.djvu/242

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In carcer sotterraneo, o d’inquïeti
Elementi per l’alte aure ludibrio
395Sta ancor penando, e a liberarlo vane
Fervon le preci, e in loco d’esse un atto
Di virtù nostra è d’uopo! O fratel mio!
Forse quest’atto or chiedi. Ah, virtù somma
È il perdonar! Cert’è che in cielo entrando
400Tu perdonar, tu e noi, tutti dobbiamo
Come a noi perdonato ha il Redentore!
Ma padre è Aroldo: esser maggior potrìa
Delle forze d’un padre il dare aïta
D’un caro figlio all’uccisor. La lancia
405Ei no giammai non bagnerìa nel sangue
D’uom che toccò la mensa sua . . . Ma pure
Chi può segnar dove talor trascorra
Nella foga dell’ira un core offeso?
Chi mi consiglia? Ah tu, gran Dio, tu solo!
     410Disse, e prona curvossi, e lungamente
Con ambascia pregò. Temea d’orgoglio
Esser tentata; innanzi a Dio temea
Calunnïar la santa alma del padre.
Ma nella mente repentino un raggio
415Di fidanza pienissima le splende,
E ratta sorge e dice: — Ah sì, fratello!
Questo è il momento in che del ciel la porta