Pagina:Poesie inedite di Silvio Pellico II.djvu/268

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E risaliti sull’arcion, guardossi
Intorno intorno lo scudier, poi volto
355Ver la città dell’acque, alzò la destra
E a mezza voce fulminò parole
Di maledizïon. Non l’interruppe
Con dirgli « Taci » in sulle prime il sire,
Ma diessi poscia ad acquetarlo.
                                                               ― Eh via!
360Non t’infiammar con tal corruccio il sangue.
Tedio noi già prendea di quelle meste
Gondole e de’ canali impegolati,
E i piedi nostri e de’ corsier le zampe
Nascean per batter sul terren le impronte.
     365— M’era dolce, o signor, che di quel lezzo
Ci traessimo alfin, ma volontarii,
Non come coppia di birboni espulsi!
Ed espulsi da chi? Da insolentita
Di possenti usurai turba corsara!
     370— Oibò, Gilner! qualche rigor molesto
Ponno i Veneti oprar, nè però cessa
Delle lor leggi il venerevol lustro:
Fu colpa mia; che di maggiore ossequio
Era a tai leggi debitor. Creduto
375M’hanno inimico, e pur, tu vedi, in ceppi
Non siam ne’ pozzi o nell’aeree buche.