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Altre, che aprir novella via mi spronano
lá ’ve luce di ver fiammeggi e domini,
della prima Bellezza a me ragionano
gioia de’ numi, almo desio degli uomini;
altre l’incanto d’armonia risonano,
vaghe che suo cantor la dea me nomini,
la dea che ha un lauro su la cima aonide
non còlto ancora, se nol colse Armonide.
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Poi come avvien, le forosette mungano
le vacche del soverchio peso querule,
cadendo l’ombre giá, che i monti allungano,
e le strade del ciel fatte piú cerule,
né piú lor dolci note in un congiungano
usignuoletti, rondinelle e merule,
strillando sol nelle deserte grottole
upupe meste e inauspicate nottole;
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cheto i’ men torno all’ospital ricovero,
dove Fillide mia gradito apprestami
cibo senz’arte e di lautezza povero;
né stranio vin fumoso il capo infestami.
Care dolcezze, che non hanno novero,
la memoria del giorno al cor ridestami;
finché, legando le palpebre, a sciogliere
viemmi il sonno le membra, e i sensi a togliere.