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104 angelo mazza


XII

A SANTA CECILIA.

Dopo le tante vigilate e sparte
rime, che stanco avrian forse l’ingegno
qual è piú destro per salire al segno,
ond’uom da volgar turba si diparte;
s’io meritai di te, sacrando in carte
arduo lavoro di memoria degno,
Vergine, e corsi di tue lodi ’l regno,
quello correndo dalla music’arte:
deh! quando, aperto il carcer che mi serra,
vedrommi sotto il piè Cirra, Elicona,
e ’l livor macro ch’ivi ai buon fa guerra;
dammi ascoltar la melodia che suona
in ciel dolce, e, qual non bramo in terra,
quivi d’eterni rai cinger corona.

XIII

ELOQUENZA SACRA.

Quella che in aspro tuon contra il pelléo
macchinator dal vil letargo scosse
le incerte ateniesi alme commosse
e ’l fatal giogo allontanar poteo;
corso l’Adria e l’Ionio, in sul Tarpeo
libera i figli di Quirin percosse,
uní di Roma le disgiunte posse
e digiuni di sangue i brandi ir feo;
leggiadra ancella ne le tosche scuole
lisciò sue forme: e a vezzeggiare apprese,
seduttrice de’ sensi, atti e parole;
ma, quando il sommo spirator la rese
de la bocca di Dio verace prole,
se stessa vinse, e a vincer l’orbe intese.