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i - poemetti 155

che senza affanno ricordar non osa
alma bennata le piaghe profonde
390d’Italia in sen barbaramente impresse,
dalla civil fera discordia, e dalla
antica d’oltrementi insana rabbia,
cui fe’ debile schermo in ogni etade
l’aereo vallo dell’Alpi canute,
395e l’Appennin nimbifero, e di cento
fiumi l’opposte invano urne spumanti.
     Sebben de’ ferrei tempi è giunto alfine
il lentissimo occaso. Amico nodo
alla Senna magnanima il guerriero
400Istro congiunge, e folta selva annosa
di pacifici ulivi Italia adombra.
Verdeggi eterna la palladia pianta
nel tuo bel sen, mia dolce Insubria: e nullo
dalla bellica scure oltraggio soffra.
405E tu, Gallo immortal, tu che nell’oro
di politica lance appendi e libri,
terreno Giove, dell’Europa il fato,
e di sue forze equilibrar col senno
e col vindice braccio il pondo godi;
410perché di Grecia all’oppressor crudele,
al fier nemico di bell’arti e studi,
d’Asia e d’Europa al vastator t’annodi
in turpe lega, e giá per lui ti corre
la man sull’elsa, e il brando alzar minacci,
415quel brando istesso che non ferreo giogo
di barbaro signor, ma di materna
troppo severa autoritade i lacci
all’inquieto american disciolse?
Qual ti move cagion? Forse alla tua
420di generosa invidia alma ognor piena
grave esser può che libertá si renda,
per mano altrui, dopo cent’anni e cento,
di Plato e di Temistocle a’ nipoti?