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II
L’INDIFFERENZA.
— Egle, ah! di’ per pietá, che è quel ch’io sento?
che piú me stesso non conosco ornai.
Non son piú quel: dal di ch’io ti mirai,,
cangio affetti e pensieri ogni momento:
Voglio; poi dopo del voler mi pento,
poi del pentirmi: or sempre teco, or mai
esser desio; poi quel che pria pensai,
quando sono con te, piú non rammento.
Egle, ah! di’, questo mio sarebbe amore?
Tu, quand’io parto o che ti siedo accanto,
dimmi, provasti mai gioia o dolore? —
Cosi Aminta diceva; e gli occhi accesi
chiedean risposta. Egle, distratta intanto:
Torna — disse — a ridir, ch’io nulla intesi.
Ili
IL PRIMO GIORNO DELL’ANNO.
Era la notte omai giunta a quell’ora
che un dall’altr’anno dividea un istante,
né so se in sogno, o foss’ io desto, allora
che scontraronsi entrambi a me dinante.
L’uno era vecchio, si, ma preste ancora
avea, pronto a partir, l’ale e le piante;
l’altro pareva sospirar l’aurora
per mostrar fuori il giovine sembiante.
— Entro — mi disse l’un — qui pellegrino
tuo nel mondo compagno. Ah! chi di noi
compierá primo suo vital cammino?
— Addio — l’altro soggiunse; — ed io ritorna
dei secoli nel sen, per sorger poi,
pieno dell’opre tue, l’estremo giorno.