Pagina:Poeti minori del Settecento I.djvu/239

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Ma la crudel fortuna
tanto poscia, e del mar crebbe lo sdegno,
che r infelice legno
or si difende a stento:
vedi l’aria che imbruna,
odi l’onda muggir, fischiare il vento;
tutto sormonta impetuoso, e tutto
vince il nemico flutto.
Invan lungo le sponde
contrastano con l’onde,
pallidi in volto e bianclii,
i nocchier mesti e di pugnar giá stanchi.

Ma, quel che piú gli afl"anna,
lo stesso dio del mar, Nettuno istesso
preme il naviglio oppresso.
Figlio d’ignoto lito,
fuor dell’algosa canna,
vedilo alfin sul non suo carro uscito.
— Péra la nave — éi grida; in ogni canto
l’urta e minaccia, e intanto
l’avvilito tridente
scuote, e pietá non sente;
e al legno afflitto e stanco,
barbaro, squarcia lo sdruscito fianco.

— Questa dunque dovea
da te sperar, nume crudel, mercede?
Ov’è giustizia e fede?
Sotto i vessilli tuoi
l’ampia nave scorrea
dall’esperio oceano ai lidi eoi.
Per lei tu fosti grande; essa i tuoi mari
purgò d’empi corsari:
del sangue de’ suoi figli
vide i flutti vermigli;
né mai per tua difesa
paventò rischio d’onorata impresa.