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Pagina:Poeti minori del Settecento II.djvu/266

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Fuggii le regge de’ tiranni, e invano
20Babilonia invitommi e Menfi e Susa.

A lusingar non usa,
contro il vizio palese armai la mano:
e chi non sa che un giorno a me davante
stette un Pericle, un Eupoli tremante?

25Me dunque altera per vetusto vanto

Lucca possente in libertá riveda.
La nuzial sua teda

scota il figlio d’Urania a Giuno a canto:
giá il riso ed il piacer meco sen viene,

30né straniero è il mio canto al biondo Imene.

Egli, dal di che, mia mercé, di spose
Roma nascente popolò, m’è amico.
Solingo bosco antico,
atto a le insidie, il gran disegno ascose :
35lá d’ intrecciati rami ombroso ed atro

surse a scenici ludi ampio teatro.

Accorse a la fatai scena giuliva,
fúr viste allor le rigide sabine:
le pompe pellegrine
40mirar men. aspre ed esultar fra i «viva» :

né alcuna sospettò di teso laccio,
fin che non pianse al rapitore in braccip.

Ignare di lor sorte, allor di strida
empion de l’aria i regni e il conscio bosco’:
45ma rabbuffato e fosco

al patrio muro il fier roman le guida,
e a le querule invan tradite prede
offre barbare nozze e amor richiede.