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CXCIII

Storia di un tutore.


Daccono degli Ardinghelli, cittadino di Firenze, chiamato ad essere tutore di un pupillo, ne amministrò per lungo tempo i beni, e tutti li consumò a mangiare ed a bere; quando finalmente gli vennero chiesti i conti, il magistrato gli ordinò di presentare i libri dell’entrata e dell’uscita, come si dice; ed ei mostrò la bocca e il sedere, dicendo che non aveva fuori di quelli alcun altro libro di entrata e d’uscita.


CXCIV

Di un frate che ebbe una comare

con una graziosa astuzia.


Un frate dell’ordine dei mendicanti aveva gittati gli occhi su di una giovane comare assai bella, e si consumava di grande amore per lei. Ma poichè avea vergogna di chiederle cosa disonesta, pensò d’ingannarla con un’astuzia; e si fece vedere per molti giorni col dito indice fasciato, fingendo di essere tormentato da grave dolore. Finalmente, dopo che glie ne ebbe chiesto molte volte, la donna gli domandò se aveva provato qualche rimedio: “Moltissimi,” rispose, ma non avevano giovato; uno solo ve ne era, indicatogli dal medico, ma del quale egli non si poteva servire, chè era di natura tale che solo a dirlo avrebbe arrossito; e poichè la donna lo esortava a dirlo, che per guarire di così grave male non doveva arrossire, egli con molta timidezza rispose che o bisognava tagliarlo, o tenerlo per qualche tempo nel taglio di una donna, e che in quel calore sarebbesi ammorbidito il gonfiore; e per ragione di onestà non osava chiederlo. La comare, mossa a compassione, offrì l’opera sua; ed egli, per verecondia, chiese