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egli, per togliersi la molestia, portò le mani alle guance: “Ho, disse, un gran dolore ai denti;” e lasciato l’Ambasciatore, entrò nella camera.


CCXVIII

Di un tale che sparlava

della vita del Cardinale Angelotto.


Un tale con acerbe parole diceva male della vita e dei costumi del Cardinale Angelotto, quando questi fu morto; e fu di fatti uomo rapace e violento, che non aveva alcuna coscienza. Allora sorse uno degli astanti a dire: “Io penso che il diavolo lo abbia divorato e cacato già, per i suoi grandi delitti.” E un altro, che era uomo argutissimo: “Fu, disse, di carne così cattiva, che niun demonio, per quanto abbia buono stomaco, oserebbe mangiarne per paura del vomito.”


CCXIX

Di un pazzo che irrideva un cavaliere fiorentino.


Eravi una volta a Firenze un Cavaliere, da me conosciuto, che era molto piccolo di statura e portava la barba assai lunga. Un pazzo lo prese a schernire per la statura e per la barba quante volte lo incontrava per la via, e con tanta importunità da riuscire molesto. Venuto ciò all’orecchio della moglie del Cavaliere, questa chiamò a sè il matto, lo rimpinzò di buon cibo, gli diede un vestito e lo pregò di non burlarsi più del marito; e quegli lo promise, e avendolo qualche volta incontrato, passava senza nulla dire. Quelli che erano presenti, meravigliati, lo incitavano a parlare, e gli chiedevano perchè non dicesse quello che prima diceva. Allora il matto, postosi un dito sulla bocca: “Egli, disse, ha chiuso la mia bocca in modo che non potrò più parlarne.” È di fatti un ottimo mezzo, il cibo, per conciliarsi la benevolenza.