Pagina:Poggio Bracciolini - Facezie, Carabba, 1912.djvu/43

Da Wikisource.

facezie 31

XXIV

Di una femmina matta.


Una femmina del mio paese, che pareva matta, era condotta da suo marito e da’ parenti a una certa fattucchiera, per opera della quale credeasi di poterla curare; e per passar l’Arno la posero a cavalcioni dell’uomo più forte; ma ecco in questa ella imprese a muoversi sulle spalle dell’uomo similmente a’ cani in calore, e a gridare ripetutamente: “Io voglio l’uomo, suvvia, datemi l’uomo.” E con queste parole mostrò la ragion del suo male. Colui che la portava scoppiò a rider sì forte che cadde con la donna nell’acqua; e tutti gli altri ne risero, e conobbero che a medicar quel male non eravi bisogno d’incantesimi, ma di quell’altra cosa, e con questa sarebbe ella tornata in sanità; e volti verso il marito: “Tu, dissero, sei il miglior medico di tua moglie.” E se ne tornarono tutti, e dopo che il marito fu seco e la contentò, ella tornò sana di mente. Questo, del resto, è il miglior rimedio della pazzia delle donne.


XXV

Di una donna che stava sulla riva del Po.


Sopra una piccola nave recavansi a Ferrara, insieme con alcuni uomini della Curia, una di quelle donne che fan servizio agli uomini. Una donna allora che stava sulla riva del Po, disse: “Matti che voi siete; credete forse che a Ferrara vi sian per mancar meretrici, quando là ne troverete tante, più che donne oneste a Venezia?


XXVI

Dell’abate di Settimo.


L’abate di Settimo, uomo pingue e corpulento, recavasi una sera a Firenze e per la via chiese ad un villano