Pagina:Pontano - L'Asino e il Caronte, Carabba, 1918.djvu/122

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il caronte 115


Car. — Tu vuoi farmi impazzire!

Merc. — Eppure, tu che sei filosofo, avresti dovuto capirla la ragione per cui gli uomini suonano tanto le campane! Tu sai che, se essi han molto ventre, testa ne hanno poca, e anche quella poca par loro troppa. Perciò, pensa e ripensa come dovessero fare per perderla bene, hanno inventato le campane!

Car. — Bene, per dio! — perdonami, littore degli Dei! — tu m’hai reso la pariglia.

Ma se tu me lo permetti, ti farò ancora una domanda, che ti parrà forse sciocca. Se il Destino ti costringesse in qualche modo a diventare uomo e a vivere fra gli uomini, chi vorresti essere?

Merc. — Povero me! in che imbroglio tu mi metti! Fortuna che a un Dio non possono capitare di queste disgrazie... E io che ci vivo anche troppo fra gli uomini, conosco bene quanto sono infelici e disgraziati: come dunque vuoi che io scelga fra questa universale infelicità? Unico loro bene è proprio la Speranza, quel bene cioè che sarebbe loro tolto anch’esso, se conoscessero il futuro; come si diceva pocanzi. Nessuna scelta dunque. Vi dirò invece qual è la genìa che fra gli uomini io odio di più.

Car. — Chi sono?

Merc. — I Giudei e tutta la loro stirpe.

Car. — Forse perchè hai paura di essere circonciso, o di cadere sotto le unghie d’uno strozzino?

Merc. — Eh no! La circoncisione è comune anche fra i Turchi, i Mauri, i Siri; lo strozzinaggio poi lo è dappertutto. Ma temerei che l’infinita loro superstizione mi rendesse infelicissimo...

Car. — Forse hai ragione. Ma non c’è nulla che tu approvi fra i Giudei?

Merc. — Una cosa sola; che non si curano affatto