Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/119

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le pinete, certo che camminando a dovere avrei potuto essere di ritorno a casa per il cadere del giorno.

Ma, — ve l’ho già detto prima: — Era scritto ciò che era scritto!

Ti ricordi, Baccio mio, quella crocetta che sta a due passi dalla colma dei Tre Ladri? Fu là che mi prese l’uragano. Un uragano come, in vita mia, non ne avevo mai visto. To’! il cielo pareva disceso sulla terra, e i cocuzzoli delle montagne pareva che si arrampicassero in cielo. Si cozzavano insieme i ghiacciuoli delle nubi e i ciottoli delle frane; la vallata era scomparsa, le cime non le vedevo più; mi pareva di sentirmi schiaffeggiare e bastonare da centomila demoni!... — mi mancava il respiro... — ero come una pulce fra due unghie... to’.

Mi girava la testa, ma, questa volta, diversamente di prima, vo’ dire di quando la mi girava nel mio letto, allo scuro. Mi sentivo mancar il fiato: era la tormenta! E turbinava, oh! come turbinava! Mi credetti morto, e lo ero quasi, e mi distesi in terra, colle mani in croce, dicendo il De profundis e pensando intanto alla mia Gina, ai miei vecchi, ai miei piccini... e al... e anche al Sindaco!

Restai lì parecchi minuti in tal modo, aspettando l’ultimo momento.

D’improvviso mi sentii battere sulle spalle da una mano vigorosa.

Apro gli occhi già quasi irrigiditi dal gelo, e mi vedo davanti, indovina?... il figlio maggiore del signor De Emma, che, superata la bufera passava appunto di lì, colla sua muta, inseguendo il camoscio.

Mi sollevò, mi pose alle labbra la fiaschetta del rhum, e in men che non si dica, mi ritrovai il Beppe di prima, vispo e sano di corpo e pronto a far non