Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/126

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ronzavano: i ragni cominciavano a guatare le ragnatele e i moscerini cominciavano ad ingarbugliarvisi....

Dalla cucina del presbiterio usciva un odore delizioso di caffè tostato.

Il cielo splendeva serenissimo.

— Buon dì, mi disse scavalcando, il dottore, già desto così per tempo?

La voce del signor De Emma aveva una vibrazione dolce di cui il giorno prima non la avrei creduta suscettibile.

È certo che il buon curato gli aveva parlato sul conto mio a quattrocchi con quella strana benevolenza, non so come meritata da me fino a quel punto, che in lui pareva una divinazione di ciò che doveva accadere in seguito nei nostri cuori.

Il dottore era salito alla camera del suo infermo. Io scontrai sotto un viale del giardino il povero Beppe. Egli andava davanti a me coll’indescrivibile incesso che hanno i sonnambuli, rimondando, sbadato, quasi senza saperlo,— per abitudine di campagnuolo forse, i vigneti delle giovani viti, con gesti da automa. Stropicciava ad una ad una le raffilature che gli restavano in mano, poi le lasciava cadere dietro di sè. Portava la testa immota, alquanto volta all’insù, ma quando l’ebbi accostato, senza che egli se ne avvedesse, rimarcai che gli occhi avea rivolti al suolo, semichiusi, immobili. Tutto il suo volto spirava il terrore e la pietà insieme che i poeti ci fanno supporre spirassero dalle maschere formidabili dell’antica tragedia. La desolazione e la sete della vendetta avevano tramutato in una notte quella faccia idillica di contadino, in una faccia di non so qual lugubre eroe. Giacchè le notti che se-