Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/237

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Amministrò all’inferno l’estrema unzione, brontolando frettoloso fra i denti le preghiere rituali.

Poi spogliò il rocchetto, la stola e chiese al dottore se sarebbe stato possibile il confessare il moribondo.

Il signor De Emma disse che non poteva dir nulla con certezza: se voleva aspettare, verso l’alba, la febbre sarebbe scemata oppure....

A questa reticenza il prete soggiunse duramente:

— Va bene.

E sedette. Era un’indifferenza di più.

Tutto ciò era brutto, mi irritava.

Uscii. Cominciava il crepuscolo, l’ora preferita dell’angelo della morte.

Rompevano il silenzio dei belati che sembravano lamenti. Gli alberi si agitavano alla brezza mattinale come rabbrividissero e gocciolavano lagrime di rugiada. Un gallo cantava colla sicumera crudele di un diacono che intona le esequie.

Baccio suonava l’angelus, e insieme l’agonia del sindaco.

Poi la scena mutava rapidamente: al funereo barlume sottentrava l’incarnato dell’aurora, il paesaggio usciva dal grigio lenzuolo, salendo a poco a poco la gamma dei suoi colori: il giorno usciva dai limbi misteriosi dell’alba.

Io aspiravo con voluttà l’aria vivace; assaporavo con delizioso egoismo le pulsazioni possenti della vita.

Un rumore misurato di passi mi riscosse dalla estatica contemplazione.

Sbucavano di dietro il muro della chiesa quattro carabinieri condotti da un brigadiere, un’atletica