Pagina:Praga - Memorie del presbiterio.djvu/95

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Quanto al sorriso che nascosi io alla meglio, e che fortunatamente potè sfuggire a Bazzetta, imagiginatevi voi che cosa dicesse.

Eravamo giunti a metà del sagrato su cui il piede scivolava per l’erba bagnata che divideva in quadrati innumerevoli le pietre, levigate e lucide come cristallo.

— Ah! me n’ero scordato! sclamò il farmacista fermandosi di botto; c’è il funerale di quella povera creatura!

E mi additò la strada in faccia a me, ed il villaggio da cui sbucava una lunga processione davanti a cui s’alzava pencolando ora a destra ora a mancina, un sottile crocifisso abbrunato.

— Converrà ch’io ci assista, seguitò il Bazzetta: sapete, nei piccoli paesi bisogna conformarsi.... e poi... il vedovo mi deve una somma rotondettina, — sei mesi di malattia, — coglierebbe il pretesto della mia mancanza al funerale per lesinar sul conto e portar il saldo alle calende greche. Questi montanari, sapete, uh! sono più furbi di noi. Voi, del resto, non importa, se non vi piace, potete tralasciare...

— No, no, vi tengo compagnia.

— Allora poniamoci qui in disparte, a vederli passare. Entreremo in coda.

Ci levammo il cappello; il funebre corteo era giunto sul sagrato.

Quella smilza croce pencolante, dalle cui estremità orizzontali pioveva ogni tanto una goccia di pioggia sui gomiti allargati del portatore, pareva salutar tristamente da una parte e dall’altra, davanti e di dietro con moti sussultorii ora rapidi ora solenni, come fa chi cammina dopo aver troppo bevuto.