Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/21

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canto secondo 15

50sei veramente! Durassero eterne
quest’ore! Stolto! io non credea che tanta
in sé chiudesse voluttá la terra!
Dov’è sembianza che alla tua somigli?
Chi non daria per queste chiome un regno,
55per baciar mille volte, com’ io faccio,
queste tue chiome, e, a forza di baciarle,
stemperarsi d’amor, cont’io mi stempro?...
Sì, Edmenegarda! Piega la tua testa
qui sul mio cor!... Deh, senti come batte
60un cor d’Italia. Ah, questi miei non sono,
non son gli amplessi del superbo inglese!...
— Leoni mio, non proseguir! Ti prego
a mani giunte, non mi far morire!
Troppa è l’ebbrezza che nel cor mi versi;
65ma per pietá non proferir quel nome!
Io non ho forza a sostenerlo! Taci!
— Ei ti disama; non t’amò giammai.
Co’ suoi gelidi modi ei ti contrista,
gentil rosa d’amor! Ben meritava
70d’aversi a moglie una rubesta donna
delle cantiche rupi, e non la dolce
Edmenegarda mia!
— Deh! piú non dirne;
mi son pugnale avvelenato all’alma
le tue parole! Ei sì ancor mi ama Arrigo,
75troppo umano e cortese a questa sua
miseranda colpevole! Che fôra,
s’ei risapesse? Oh mio Leoni! Un serpe
mi rode il core! Io lo disamo, io sola;
e si tormenta il misero a vedermi
80tramutata così! —
Può far portenti
la pietá nei gentili. Ed ella intensa
la sentìa per Arrigo. Arse Leoni
in quel fiero sospetto, e sulle labbra