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Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/47

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canto quarto 41

Quanta pietade
sentirá dell’afflitta anima il mondo!
Oh nol pensar!
Questo rettile abbietto
non ha voci per piangere. Egli manda
60sull’infelice il suo grido di scherno,
e lo dispera col livor dei morsi,
e nell’ora del mal fischia di gioia.
     Cosí, quando scoppiò l’orrido nembo
sul fragil capo alla reietta, i labbri
65verecondi di mille, a cui non note
son le vie del peccato, amaramente
fecero il ghigno; e da quei labbri il nome
d’Edmenegarda si gittò nei crocchi,
senza vergogna; e fu divelto a brani
70con maligna pietá dalle opulente
peccatrici, che menano a trionfo
la tolleranza del codardo sposo.
     E se qualche pudica anima ai casi
sospirò miserata, ebbe il dileggio;
75e fin si diede a quel gentil compianto,
con demente rigor, la scellerata
nominanza di colpa.
Ed or che il nappo
ella finí sino alla feccia, il mondo,
pietoso o stanco, l’obliò!
Che importa,
80se precipita un’alma, e senza madre
gemon due figli, e pesa il vitupèro
dove rise la gioia? Ordine è questo
di natura e dei fati!
Or esce appena
qualche rea celia, a ricordar la nuova
85ospite di Leoni.
Egli da canto
caramente le siede: