Quanta pietade
sentirá dell’afflitta anima il mondo!
Oh nol pensar! Questo rettile abbietto
non ha voci per piangere. Egli manda 60sull’infelice il suo grido di scherno,
e lo dispera col livor dei morsi,
e nell’ora del mal fischia di gioia.
Cosí, quando scoppiò l’orrido nembo
sul fragil capo alla reietta, i labbri 65verecondi di mille, a cui non note
son le vie del peccato, amaramente
fecero il ghigno; e da quei labbri il nome
d’Edmenegarda si gittò nei crocchi,
senza vergogna; e fu divelto a brani 70con maligna pietá dalle opulente
peccatrici, che menano a trionfo
la tolleranza del codardo sposo.
E se qualche pudica anima ai casi
sospirò miserata, ebbe il dileggio; 75e fin si diede a quel gentil compianto,
con demente rigor, la scellerata
nominanza di colpa. Ed or che il nappo
ella finí sino alla feccia, il mondo,
pietoso o stanco, l’obliò! Che importa, 80se precipita un’alma, e senza madre
gemon due figli, e pesa il vitupèro
dove rise la gioia? Ordine è questo
di natura e dei fati! Or esce appena
qualche rea celia, a ricordar la nuova 85ospite di Leoni. Egli da canto
caramente le siede: