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XXV

VENA

La vena del sentir giá mi si rende
qual ò sott’aspra selce incognit’onila:
se non che ad or ad or ratto si fende
quella selce deserta ed infeconda;
e quant’era men vista e piú profonda,
balza la vena piú vivace e scende;
e, se fil d’erba o sterpo la circonda,
qualche larva di fior vita vi prende.
Però tu, vena de l’alpestre petto,
che m’invadi talor gli occhi e la guancia,
con avara saggezza in te ti chiudi.
Prodigar l’acque de l’interno affetto
non giova al mondo, che vuol riso e ciancia,
quando d’ira e di gloria i dì son nudi.

XXVI

DECRETO

Vaghi numi d’Olimpo, il vostro esiglio
ha decretato, anzi la morte vostra,
questo moderno Prometèo, che mostra
ancor la piaga del divino artiglio.
Vinte le funi e la petrosa chiostra,
e dal proprio dolor preso consiglio,
vuol regnar solo de la terra il figlio,
e, irrisi i cieli, a nessun dio si prostra.
Perciò con l’ira del nefando ingegno
occupa il mondo; e, se talor ricorda,
vaghi numi d’Olimpo, il vostro regno,
e per mostrarvi, indomito nemico,
il falco ucciso, la spezzata corda,
e in volto i lampi de lo sdegno antico.