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LXXIII

SILENZIO

A gentil cor, che langue infastidito
or d’uno or d’altro cinguettio, secondo
che per l’aura del crocchio o del convito
ferve maligno o strepita ingiocondo;
a gentil cor, cui piace esser romito,
non è accento piú caro e piú profondo
di quel con che tu parli a l’infinito,
o re pensoso del notturno mondo.
Quando sul capo tuo ridon le stelle,
e tu coi dominanti occhi t’affissi
dentro le cose piú remote e belle,
tacita s’apre la memoria al core
e la speranza: due soavi abissi,
in che s’immerge ogni solingo amore.

LXXIV

MARIONETTE

Al fantolino, piú che pèsca o mela,
piace il casotto degl’incanti, dove
un picciol mondo di figure nòve
al suo cupido e fermo occhio si svela;
né sa che dietro la dipinta tela
per fili arcani un giocolier le move,
e crede vero il finto, e in quelle prove,
in quegli atti, in que’ volti avvampa e gela.
Grandeggia quindi il fanlolin con l’ora;
e nel mondo degli uomini s’aggira,
e crede vero ciò eli’è finto ancora.
Uom poi diventa, e si travaglia e stanca
pur dietro a sogni; e il di che l’ombra ei mira
del Ver, spia sul quadrante, e il tempo manca.