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Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/232

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CI

QUESTI OCCHI MIEI

Sin che florido è il corpo, ospite lieta,
l’alma lo alberga: ma dal di che vede
come questa sua casa è un po’ di creta,
che la pioggia corrompe e il verno fiede;
da quel di la solinga anima asseta
un arcano desio di mutar sede;
e, sognando e sperando altro pianeta,
sente crescer le forze a la sua fede.
Messer Iacopo, a me la inferma spoglia
par quella casa ruinata e sola,
che alberga una farfalla entro i rottami
L’ospite, afflitta di restar, s’invoglia
poco in quell’ombre; e, se di lá non vola,
è perché aspetta che Qualcun la chiami.

CII

GOETHE

(in Roma)

Pindaro un di su le tebane incudi
battea la strofa; e presso al tiberino
margo su due di giglio òmeri ignudi
tu misuri l’esametro divino.
Scherza Cardenia; e, mentre al sen la chiudi,
sussurrando ti va: — Figlio d’Armino,
se una volta i miei padri a’ tuoi fur crudi
emendato co’ baci ecco è il destino. —
E frattanto l’esametro, che scocchi
tu con le dita su le nivee spalle,
si fa raggio d’amor dentro i begli ocelli.
E tu in baciarle i begli occhi e la chioma,
mormori: — O re della saturnia valle,
a me Cardenia e a voi rimanga Roma!