Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/262

Da Wikisource.

Dunque, augellin, sul candido
20ramo tu resta e trilla;
nella consunta lampada
io sveglio una favilla
e seguo, al tenue raggio,
sonnambulo nell’ombra, il mio viaggio.
25E ad una pietra celtica,
a un ipogeo latino,
o sotto un dorio portico,
o un arco bizantino,
sogno; e domando al fiore
30ciò che resta nel mondo e ciò che muore.
Sogno; e domando ai zefiri
se, al di della procella,
io seguirò la bussola
d’Amalfi o la mia stella,
35e se il funereo altare
troverò sulla tolda o in fondo al mare.
Se in fondo al mar le naiadi,
dopo il virgineo ballo,
non mi daran sarcofago
40di perla o di corallo,
ma, pari a mia fortuna,
un letticciuol di poca aliga bruna;
grato alle dèe, dal povero
sepolcro, a quando a quando
45mi leverò, l’erratico
Poseidón guardando;
e mi parrá la vita
sentir nella sonante onda infinita.