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Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/209

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rebbe pertanto la missione di creare in tal senso, a poco a poco, tutto un nuovo diritto, inteso a tutelare i provvidi istituti con sanzioni eliminatrici delle concorrenze pericolose: severa punizione del reato di crumiraggio, ed esclusioni inesorabili degli stranieri.

Impostato il problema sopra simili premesse, risulta evidente che, ove si riuscisse a dimostrare che la politica restrittiva dell’immigrazione, pur essendo dannosa, come dimostrammo, al progresso economico della società umana presa nel suo complesso, favorisce però in modo durevole, almeno nel presente periodo storico, gli interessi speciali del proletariato come classe, si sarebbe costretti di ammetterne la coerenza logica coi fini prettamente egoistici di cui si concede la legittimità, in vista di beni morali e sociali d’ordine superiore, all'azione unionistica.

Ci resta dunque a sottoporre il quesito ad un’analisi muovente da questo punto di vista esclusivo, per stabilire gli effetti del protezionismo sugli interessi immediati e remoti delle classi medesime che lo richiedono.

Se considerassimo la questione nei rapporti dell’intiero proletariato mondiale, troppo ovvia apparirebbe la risposta. Le turbe di miserabili che fuggono i salari affamatori dei paesi sovra-popolati o poveri di capitale e di capacità direttive sono naturalmente le prime a soffrire delle conseguenze di un sistema che le ricaccia nelle inferiori condizioni di esistenza dalle quali anelano di sollevarsi emigrando. In qualunque modo pertanto il bene di un certo numero di proletari non si ottiene, in ogni caso, che a danno di un numero assai maggiore di altri.

Ma é noto il sentimento di noncuranza mista a disprezzo verso le categorie inferiori che costituisce una delle caratteristiche meno simpatiche delle aristocrazie operaie raggruppate nell’unionismo (1).

Tralasciamo dunque di gettar lo sguardo sulle ripercussioni dolorose che l’egoismo degli uni produce sulla miseria degli altri; e teniamo d’occhio unicamente quella ristretta porzione del ceto operaio che, salita, per un complesso di fortunate circostanze, ad una condizione di materiale o morale privilegio, tende a guarentirsi il



  1. (1) " Per proletariato, scriveva il CABIATI, noi intendiamo soltanto quello organizzato: poiché i nostri studi scientifici ci portano alla convinzione che l’altra parte del proletariato, quella non organizzata, non merita le nostre cure se non in quanto si tratti di ricondurla entro le file dell’organizzazione ". Meno male che anche a costoro l’egregio collega nostro non estenda il consiglio sbrigativo da lui dato ai “poveri che sanno di non potersi più risollevare ", i quali dovrebbero “avere almeno il coraggio fisico di togliersi".

14.-Prato