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della leggenda. Dall’apostolo Tommaso il cingolo viene austeramente rimesso nelle mani di personaggio ignoto nel quale sarebbe certo arditissimo pensare che l’artefice volle esprimere quel Michele dei Dragonari che nel 1096 si ebbe dalla sposa in dote il prezioso deposito. Il pittore volle accennare il passaggio e non altro, come non potea meglio osservare il Baldanzi. Il Dragonari è certo sul naviglio che a gonfie vele torna in patria; e di grazia giottesca è la figurazione dell’arrivo nella città turrita, quale forse fu Prato nel secolo XII, e con la chiesa quale il Gaddi la vedeva nel suo tempo. Nella terza istoria è il sogno di Michele, che viene avvertito da un messaggero celeste di conservare più degnamente la reliquia; ma solo morendo egli l’affida al Proposto che solennemente con tutto il clero osannante la trasporta nel Duomo.

Per respirare il profumo arcaico delle pitture gaddesche, noi dobbiamo distrarre gli occhi dal pomposo altare, che il soverchio zelo dei devoti ha sempre più sovrac-