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alla stracca, forse vinti da tedio e da sonnolenza nel dar forma e colore a quel vasto ma inane poema retorico. I lavori furono interrotti dalla morte di Leon decimo: li riprese per alcun poco il Pontormo undici anni dopo; li condusse a termine l’Allori nel 580.

Le imprese di Lorenzo sono adombrate in oziose allegorie. Veniva allora di moda un classicismo quasi più inerte di quello che doveva trionfar tre secoli più tardi, nell’epoca napoleonica; e ad esso indulgevano il letterato e i pittori rappresentando i doni del Sultano d’Egitto a Lorenzo nel tributo degli animali offerto a Cesare, la rientrata dei Medici a Firenze nel trionfo popolare di Cicerone, ed in Flaminio che guadagna a Roma la lega Achea il fortunato tentativo di Lorenzo presso Alfonso il Magnanimo. Le Esperidi, Vertunno, Diana, Pomona, frigidi e solenni panneggiamenti, sormontano la vasta coreografia. E sono, insieme, effigiate le Virtù, pleonasmo decorativo: Fortitudo, Vigilantia, Fama, Gloria, Honor, Magnanimitas, Liberalitas, Virtus, Pietas, Iustitia. — Sillabe armoniose, echeggianti nel vuoto.

E il giardino è più triste della villa: è tetro e muto come sono i giardini senz’acque. Cantano sulle fontane i versi con voce amica all’acque:

Qui a fronde e fior che brillano
ai rai di bell’Aurora
sei’ban Vertunno e Flora
il cristallino umor;

ma non cantano l’acque. Vertunno e Flora esularono. Giungiamo alla riva, ove il bel torrente lorenzesco tocca la sua villa prediletta.

Udiamo antiche parole:

Ombron pel corso faticato e lasso,
per la speranza della cara preda,
prende nuovo vigore e stringe il passo,
e par che quasi in braccio averla creda.
Crescer veggendo innanzi agli occhi un sasso,
ignaro ancor non sa donde proceda:
ma poi, veggendo vana ogni sua voglia,
si ferma pien di meraviglia e doglia.

Così è. Sembra che anche l’Ombrone si fermi pien di meraviglia e doglia. Ristagna vecchio e pigro fra l’erbe giallicce il bel fiume faunesco che pensavamo pieno d’impeto e di flutti. Sul palazzo e sulle piante, sulle pitture e sulle acque, sugli uomini e sui ricordi impose la sua mano la morte. E tace Poggio a Cajano, sulla riva di un fiumicello acheronteo, come il magnifico sepolcro ove un gran morto dorme: il Rinascimento.