Pagina:Primi poemetti.djvu/17

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prefazione xiii

madre), un rondone viene e riviene, col suo volo di saetta, a uno de’ miei nidini di balestruccio. Vuol forse impadronirsene? cacciarne la famigliola che c’è già? No: egli porta ogni volta qualche cosa da mangiare; sta arrampicato un poco alla porticella o finestrella del nido, ed è subito sbarazzato della sua piccola preda. O caro buon rondone: tu non hai forse da fare oggi; tu non hai forse ancora compagno o compagna; e, tanto per non stare (ero per dire, con le mani in mano: ma non si tratta d’uomini, qui) per non stare in ozio, dai un po’ d’aiuto a una rondinella, a una d’altra nazione e razza, che ha forse troppi figliuoli e troppo da fare e poco da mangiare. Carità... internazionale! O caso più pietoso ancora, si tratta d’orfanelli? e un altro povero li nutre e tira su alla meglio?

Uomini, dirò come in una favola per bimbi: uomini, imitate quel rondone. Uomini, insomma contentatevi del poco («assai» vuol dire sì abbastanza e sì molto: filosofia della lingua!), e amatevi tra voi nell’àmbito della famiglia, della nazione e dell’umanità.

Ma io non parlo più a te, dolce Maria. Eccomi a te di nuovo... Ma c’è da fare il pane. Oggi è sabato. Lasciamo la penna, e andiamo. Andiamo, buona sorella, a fabbricarci il nostro pane quotidiano, o, a dir meglio,