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telo pure, quando anche facessero le mostre che ogni bramosia fosse in essi cessata. Il cibo, per copioso che sia, è cagione a desiderarne del nuovo, dice la favola del misero Erisittone: quelli di cui parliamo sono compresi da un’eguale sciagura. Ma e i compratori?

Anche per questo canto l’allegoria corrisponde perfettamente. Coloro i quali allargano le narici all’incenso bruciato loro dagli adulatori, hanno il destino de’ mercatanti che pagarono ad Erisittone la figlia. Quando credono aver fatto acquisto di una bella ed amabile giovinetta, dal detto al fatto se ne veggono privi, e non altro possedere che un vile animale, o un poco d’aria e di fumo. Siano di qualsivoglia natura, le adulazioni risolvonsi in nulla, o rendono effetto contrario del tutto a quello che se ne poteva congetturare. Che importa che il famelico Erisittone mi narri di Aurelio, esser desso un fiore di gentilezza e di ingegno? Quelle lodi mettono in maggior rilievo lo stupido e rozzo naturale di lui. Canta, canta, o cicala pasciuta da Evandro; Evandro, dopo quel canto che lo esalta affabile e misericordioso fra tutti i viventi, comparirà quel duro e inappressabile cuor di macigno ch’egli è di fatto. Così va per ambe le parti: Erisittone non si potrà mai saziare del frutto delle sue piaggenterie; e l’ambizioso spenderà il suo malamente a premiare chi gli fa vezzi per attrapparlo.

Gli Erisittoni non vogliono esser cercati solamente fra gli scrittori, ma fra gli uomini di tut-