Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/17

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gne gli occhi maliziosamente, a borbottargli non so che nell’orecchio? Ben lo veggo, risposi; ma che ha ella a fare con Narciso quella faccia di usuraio, ruvida e gialla come le monete, che, pochissimo maneggiate, tiene sepolte ne’ suoi scrigni? — Quegli è appunto il Narciso di cui ti parlo, e che t’invito a vedere. — È forse siffatto il nome ch’egli ebbe a battesimo? In quel caso, il padrino fu poco profeta. — No; si chiama, credo, Bastiano. — E tu per qual capriccio lo hai nominato Narciso? Forse per quel suo colore di croco? — No, ma per la rassomiglianza de’ suoi sentimenti a quelli che sono attribuiti dalla favola al giovinetto che si specchiava nella fonte. — Per verità siamo soliti di chiamare Narcisi quei giovanotti, che, tutti intenti a lisciarsi nell’esteriore, lasciano sospettare che loro non resti poi tempo da badare all’interno, e pei quali potrebbesi credere che il giornale delle mode fosse assai più importante del manuale d’Epitteto, o della tavola di Cebete. — Che rancidumi! La favola di Narciso considerata a questa maniera è quel di più insulso che si possa dare. Pigliamo, amico mio, le cose un poco più largamente. Sai tu quali sono i veri Narcisi? Sono gli egoisti; sono questi i veri innamorati di sè, che nel fiume della vita, che loro passa davanti, guardano soltanto la propria immagine, e le fanno vezzi e moine a tutte l’ore. Quel signor Bastiano inferraiuolato può dirsi il tipo di tutta la razza. Bruci pure la casa di