Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/196

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scoraggiamento, che fu molto prossimo a gittar tutto alle fiamme quel tanto che avea relazione col comporre; e già fino d’allora il parlare di studii, ove non fosse con qualche intimissimo e macchiato della stessa pece, gli venne a fastidio, e l’umor suo a inacerbirsi, e le rime che avevano sul cominciar un non so che di gaio e spontaneo, farsi aspre e per abborrimento al comune molte volte più insolite che pellegrine, e il pensiero, inamarito ancor esso e infoscato, informare della propria cupezza la frase e l’armonia stessa del verso. Allora e le frequenti invettive alla fortuna, e il continuo ricorrere colla fantasia a tempi migliori, e per tutta lode ai viventi descrivere con oltraggiosa verità le virtù degli antichi, o i vizii e le colpe infuse e disseminate per l’universale, ad encomio dei pochi che se ne mostravano immuni o non più che spruzzati. Di qui finalmente l’invito, o dirò meglio la violenza, che i casi gli fecero, a comporre sermoni, o satire che si voglian chiamarle, nelle quali è la lode maggiore che si meritasse.

Ho detto fino dalle prime non essere stato alla satira più specialmente da natura chiamato il Pezzoli, e ciò si farà meglio aperto per altre ragioni che verrò indi a poco accennando. Che se per la satira specialmente fu noto, sarà questo nuovo argomento che mi raffermi nella opinione che del Pezzoli mi sono fatta, esser egli uomo che in ogni sua cosa sempre visse spostato, e si lasciò vedere alle genti non più che a