Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/238

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d’Isacco e Giacobbe e Giuseppe, giù sino a Mosè, a quel portentoso legislatore che avanti Cristo non ebbe eguale tra i figli dell’uomo. Il governo de’ Giudici precursori dei Re, e l’instituzione della dignità regia tra il popolo, insofferente del freno sacerdotale, hanno in sè qualche cosa d’augusto insieme e di singolare, atto a fecondare le più sterili fantasie. E quel giovinetto pastore, che, dopo aver atterrato col guizzo della sua fionda i giganti terribilissimi, addolcisce col caro suono della cetera le furie e i rimorsi dei principi riprovati? E di questo stesso pastore, tramutato in monarca, che mirabili e nuovi racconti, che colpe, che gemiti, che sventure! L’adulterio con Bersabea, l’uccisione d’Uria, la ribellione del figlio. Tocco fatti notissimi a tutti, e che, per essere assai divulgati, sembreranno men grandi. Ad un re guerriero, e più che mezza la vita fuggiasco, e cerco a morte, succede il re sapientissimo. L’arca dell’alleanza è ricovrata sotto uno stabile tetto, e le ricchezze e le arti dell’Oriente cospirano alla sontuosità e magnificenza del tempio. E movono da lontano paese le regine, per indi ritornarne ammirate della molta dottrina e potenza sedute sul trono di Giuda. La lingua ebraica non era mai stata sì dolce, come in bocca a quel re: la soavità dei suoi idillii fa ricordare le piante aromatiche all’ombra delle quali gli componeva, e la faconda brevità de’ proverbii le auguste volte del tempio sotto cui furono immaginati. Ma chi aveva det-